a) I cani sono indubbiamente gerarchici.
Le gerarchie entrano in ballo quando mangiano, quando giocano, quando si accoppiano. In realtà le risse (che scoppiano sempre e solo per motivi gerarchici) sono solitamente TUTTA SCENA, esattamente come accade tra i lupi: lotte ritualizzate con tantissima scenografia e a volte spargimenti di pelo, ma praticamente mai di sangue.
Ma anche di queste risse, in realtà, ne scoppia una ogni morte di papa: mentre le “sfide” gerarchiche, se non sono proprio all’ordine del giorno, sono almeno “all’ordine della settimana”. Però bisogna stare molto attenti, per coglierle. Per esempio bisogna notare che il cucciolone X, che fino al giorno prima ha voltato la testa e abbassato sguardo, orecchie e coda quando ora viene avvicinato dall’adulto Y, improvvisamente non distoglie più lo sguardo e tiene code e orecchie dritte. Il cucciolone X prova così a far sapere all’adulto che ormai si sente abbastanza “grande” da non voler più essere considerato un subalterno.
L’adulto Y, a quel punto, può accettare con la massima tranquillità la comunicazione “sono cresciuto, non sono più un bambinetto che si sottomette appena ti vede”; oppure può rispondere irrigidendosi, fissando il cucciolone dritto negli occhi e magari sollevando il labbro superiore.
I cuccioloni, di fronte a questa risposta, quasi immancabilmente si rimangiano tutto e partono con una compilation di calming signals che alla fine, se l’altro non li accetta, si trasformano in un’ingloriosa spanciata a zampe all’aria o in altri segnali di accettazione della dominanza, come i colpetti di muso in bocca (traduzione: “Ok, come non detto, io ci ho provato, ma il capo sei ancora tu”).
Talvolta una cosa interessante è questa: se il cucciolone non molla, l’altro non è che gli si sottomettesse; a volte si limita ad andarsene per i fattacci suoi. Però il cucciolone, da quel momento, si sente “più alto in grado” dei suoi fratelli e/o “amici”.
Così come succede spessissimo che un cane salga di grado per aver mostrato coraggio o astuzia, senza bisogno di confrontarsi con nessuno: sono gli altri ad “omaggiarlo” con onori che fino al giorno prima non gli avrebbero mai tributato.
E cosa succede, in caso di lite? Che dopo qualche istante di baruffa uno dei due si arrende. Però, da quel giorno in poi, il perdente sta sempre un passo dietro al vincitore, gli lascia prendere l’osso o la pallina, fila via come un treno se l’altro lo guarda di brutto, si infila addirittura nel box se l’altro glielo dice.
Nota: sapere chi è il capo del tuo branco è utilissimo perché, ammesso e non concesso che tu sia il “suo” capo, puoi dargli l’ordine “metti dentro i cani”, e lui te li spara tutti nei box come un cane da pastore spara le pecore.
E lo fa perché, da cucciolo, è stato sottoposto al cosiddetto “imprinting”, che ha appunto lo scopo di fargli credere che anche noi siamo cani.
Per capire esattamente di cosa si tratti bisogna rifarsi agli esperimenti di Konrad Lorenz con le sue oche.
Per i pochi che non ne avessero sentito parlare, riassumo brevemente: l’oca, animale ad orientamento visivo, pensa che la prima cosa che vede uscendo dall’uovo sia sua madre. Ovviamente, in natura è esattamente questo che accade: il primo (e solitamente unico) essere vivente che si aggira intorno alle uova è proprio mamma oca. Quindi i pulcini fissano “l’impronta” di questo animale nella loro mente: seguiranno la mamma ovunque li conduca, e per tutta la vita sapranno di essere oche.
Lorenz “fregò” la natura facendosi vedere per primo dalle ochette, appena uscivano dall’uovo: e loro cominciarono subito a seguirlo ovunque, convintissime che lui fosse mamma oca (o forse convinti di essere dei pulcini di umano).
Tutto il resto lo si ottiene con la socializzazione, che è una fase successiva all’imprinting durante la quale il cucciolo deve vedere, sentire e annusare il maggior numero possibile di persone, animali, cose.
Non li considererà più “tutti cani”, perché il periodo dell’identificazione dei conspecifici è ormai finito: però sarà in grado di distinguere tra persone e cose “normali”, da considerare innocui, familiari e quindi da non temere, e stimoli diversi, potenzialmente pericolosi o comunque di cui diffidare.
Basti guardare un cane quando vede arrivare un estraneo di cui non conosce le intenzioni, e lo stesso cane quando vede arrivare, per esempio, un animale sconosciuto (per esempio un cavallo).
Cosa fa, di fronte al cavallo? Si comporta, insomma, come fa qualsiasi canide di fronte a un animale di specie diversa: lo studia per decidere se si tratta di preda o di predatore. Insomma, è palesemente un approccio tra specie diverse.
Può sfidarlo, può invitarlo al gioco, può mandargli segnali di calma: dipende. Ma è un dato di fatto che si comporta esattamente come quando incontra un altro cane!
Il fatto che le sfide (o addirittura gli attacchi) siano molto rari è dovuto all’educazione umana, perché il suo proprietario tenderà ad inibire in lui, fin da cucciolo, qualsiasi manifestazione aggressiva verso gli altri umani.
Questo però non accade quando il cane non viene socializzato e/o inibito: e infatti il classico cane “da guardia” tenuto sempre recluso (anche solo nel proprio giardino), quando riesce a scappar via spesso finisce per aggredire qualche umano.
Quasi sempre si sente parlare di cane che ha morso “senza alcun motivo”, il che non è praticamente mai vero. Se un cane morde, un motivo LUI ce l’ha sempre. Bisognerebbe riuscire a capire qual è, e non sempre gli umani ci riescono. Io nutro comunque il serio dubbio che in molti di questi casi il cane abbia lanciato semplicemente una sfida di tipo gerarchico, che l’umano non ha saputo capire e a cui ha risposto con i segnali sbagliati: quindi è scoppiata la rissa. Chiusa la parentesi delle aggressioni, che si basa su intuizioni e non su certezze, è invece certo, certissimo che il cane comunica con gli umani, estranei compresi. Che poi questi non capiscano una “parola” di quello che il cane vuole dirgli, è un altro discorso: ma il cane gli parla, cosa che non fa MAI con animali che non siano suoi conspecifici.
Non so voi, ma io ne ho tratto la conclusione che il cane sia assolutamente convinto di avere a che fare, in famiglia, con altri cani a due zampe: e se ci considera cani, è assolutamente scontato che tra noi e lui si instauri un rapporto gerarchico. Perché tra cani è così che funziona. Sempre.
E cosa comporta, il non-esserlo? Parecchie cose.
A loro interessa un grado compatibile con la propria sicurezza in se stessi, con le proprie capacità e abilità. Purtroppo la nostra abitudine ad antropomorfizzare ci porta a pensare “ma poverinoooo!” del cane sottomesso, quando magari lui sta benissimo nel suo ruolo. Le sfide “serie” per salire la scala gerarchica sono quasi sempre soltanto “scenografiche”. I cani che vivono con gli umani, per la maggior parte del loro tempo, o si riposano o giocano (in natura caccerebbero anche, ma i cani umano-muniti sanno che arriva la ciotola e quindi non ne hanno bisogno): e quando giocano mettono in atto, sì, tutti i meccanismi della lotta, ma in modo incruento e assolutamente “scherzoso”.
E’ vero, infatti, che un capobranco è sempre un cane dominante…ma non è affatto detto che un cane dominante sia il capobranco! Il capobranco, in natura, è il leader di un gruppo, di una struttura sociale: ma non “domina” il branco. Lo guida!
E questo, per esempio, non implica mai la forza fisica (a che servirebbe?), mentre la forza fisica è una delle componenti che possono (non devono, ma possono) intervenire nei rapporti (a due) di dominanza/sottomissione.
Se avete risposto: “Mia moglie!”, perché vi fa filare tutti, va tutto bene: siete un branco fornito di un leader… e i conflitti interpersonali, intercanini o personalcanini ve li risolverete tra voi, con calma.
Se avete risposto “BOH?”…allora, Houston, abbiamo un problema: perché i due cani, non essendoci una figura guida di riferimento valida per tutti, non saranno affatto soddisfatti dell’andamento del branco. Un branco senza un leader non funziona!
Quindi i casi sono due: o si sfideranno tra loro A e B, oppure A finirà per sfidare voi. Perché uno dei due dovrà andare a colmare una lacuna che per la mente canina è inaccettabile.
a) che varia a seconda dei soggetti con cui ci si rapporta;
b) che può variare a seconda dei momenti e dei reciproci comportamenti.
Per esempio: noi possiamo essere stati “capi” accettabili per un cucciolo, che non ci ha mai messo in discussione… ma arrivato a sette-otto mesi, un bel giorno, lui decide di essere diventato più intelligente, più forte e più adatto di noi a gestire le situazioni.
Quindi ci sfida (a volte in modo palese, più spesso in modi che noi non riconosciamo neppure): e qui bisogna essere bravi sia a CAPIRE che siamo stati sfidati, sia a gestire la situazione in modo da rimettere il cane al suo posto.
Mettiamo che il musher gli abbia dato il comando “gira a destra”, e che il cane si accorga che sulla sua destra c’è un crepaccio: se obbedisse ciecamente al “capo” ci volerebbe dentro con tutta la muta, la slitta e lo stesso umano.
Un buon leader, invece, è quello che si ferma e non obbedisce all’ordine, ma salva la pelle a tutti.
Quindi la dominanza dell’umano su questo tipo di cani dev’essere molto aperta. Del tipo: “fai quello che dico io, a meno che tu non ti renda conto che ho detto una cazzata”.
Al contrario, per un cane da Obedience, la dominanza del conduttore in gara dev’essere assoluta: il cane non può sgarrare neanche di un millimetro.
Ovviamente però, nessuno può pretendere lo stesso atteggiamento “da soldatino robot” quando il cane NON si è in gara: quindi la dominanza varia a seconda delle situazioni. Il cane deve capire che ci sono i momenti in cui “quello che dice il capo è legge” ed altri momenti in cui può prendere anche qualche decisione in proprio.
Tutto questo si chiama “collaborazione”: c’è un leader, sì, ma si lascia anche il cane libero di gestire alcuni momenti “suoi”, di prendere alcune decisioni e così via. Dopotutto questo succede anche in natura, perché il dominante non è mica sempre lì a dare ordini ai suoi sottomessi. I ruoli emergono chiaramente solo in certi momenti, per esempio quando il branco deve compiere un’azione di gruppo.
La tragedia della cinofilia attuale è che viviamo contemporaneamente in mezzo a persone che pensano ancora che il cane “si debba dominare a calci nel culo”, e ad altre che invece lo iscriverebbero volentieri alla facoltà di filosofia. Una sana via di mezzo, forse, sarebbe più sensata: e per fortuna c’è chi la segue. Ma gli eccessi, da una parte e dall’altra, abbondano.
Tutto questo, effettivamente, sembrerebbe allontanarsi parecchio dal concetto prettamente “canino” di dominanza-sottomissione, che si riducono a un “vediamo chi deve stare sopra e chi sotto”.
Vigilanza, tutela del branco e dei cuccioli, ricerca di territori di caccia, caccia vera e propria…e basta, in pratica è tutto qua.
La società umana è molto più complessa, un branco-famiglia can-umano è molto più complesso (anche solo per il fatto di essere composto da più specie diverse) e le situazioni da affrontare/gestire/risolvere sono veramente infinite: quindi è vero che non basta stabilire “chi sta sopra e chi sotto”…ma è anche vero che, se non si stabilisce chi sta sopra e chi sotto, NON SI VA DA NESSUNA PARTE.
Sì, per carità…si può giocare insieme, fare la pappa, farsi le coccole, dormire insieme ed essere felici… almeno fino al momento in cui non apparirà una causa di conflitto (che prima o poi arriva SEMPRE, si abbia un chihuahua o un rottweiler). In quel momento la domanda principale tornerà ad essere quella: chi dei due dirige l’orchestra?
E finché non si troverà una risposta, cane e umano non riusciranno a procedere in nessuna direzione comune.
Un esempio classico: due cani che litigano. L’umano del più piccolo, pensando di proteggerlo, lo prende in braccio: l’altro cane salta su e gli dà un mozzicone nel sedere.
Quell’umano, dal punto di vista del cane, è stato uno sciagurato che ha gestito la situazione in modo pessimo: infatti gli ha impedito di difendersi e ha messo il suo rivale in condizione di vantaggio. Come superiore gerarchico, ha perso dieci punti.
La selezione umana non ha modificato soltanto l’aspetto fisico dei nostri amici pelosi – che un tempo erano pressoché divisi in due sole categorie (cani grandi – cani piccoli) mentre oggi abbiamo circa 340 razze riconosciute dalla FCI e diverse altre riconosciute da Enti cinofili di Stati non europei – ma ha influito molto anche sul carattere.
Il fatto è che, quando vuoi riprodurre una dote delicata come l’aggressività, diventa difficilissimo selezionarla “a settori”. Ovviamente tutti gli umani hanno sempre badato moltissimo a far sì che i cani non mostrassero ostilità verso gli altri umani (inoffensivi), specie con quelli del proprio branco-famiglia: però se ne sono allegramente infischiati di selezionare cani che non entrassero in ipercompetitività con i loro simili.
In generale, tanto più il cane si avvicina al tipo lupino, tanto più varranno le regole gerarchiche “naturali”: e viceversa. Un’interessante teoria che suddivide le razze canine in diversi “stadi” basati proprio sulla vicinanza/lontananza dal prototipo lupino è quella della neotenia, che considera la distanza dal tipo primitivo in funzione dell’età: i cani più lontani dal lupo sarebbero in realtà cani le cui caratteristiche sono state fissate ad uno stadio più giovanile, mentre i cani più lupini sarebbero quelli che sviluppano fino in fondo le caratteristiche dell’adulto.
L’uomo, per quanto abbia pasticciato con la genetica canina, non è ancora capace di “inventare” geni che già non facciano parte del genoma del cane. Quello che ha potuto fare è stato mettere in evidenza quelli che gli interessavano, accoppiando di volta in volta cani che manifestavano le caratteristiche a lui gradite: e tra queste ha trovato anche la “volontà” , se così vogliamo definirla, di far fuori un avversario, perché succede anche in natura. Anche nel più pacifico branco di lupi può scattare una motivazione tale da far sì che si decida di “levare di torno” un membro del branco, che quindi viene attaccato seriamente e non più in modo ritualizzato. Dopodiché, o fugge e viene emarginato, oppure viene ucciso. Questo significa che nella mente di QUALSIASI cane, dal più primitivo al più selezionato dall’uomo, l’opzione “venire picchiato sul serio, da qualcuno che mostra di essere furioso con me” significa “mi vogliono escludere dal branco, oppure uccidere“.
Se il branco di lupi vive in un territorio naturale, che dà ad ogni soggetto la possibilità di sopravvivere, cacciare e – al limite – rifarsi una famiglia e costruirsi un branco suo, per il cane domestico questa possibilità non c’è. I cani non amano affatto chi li tormenta, alla faccia della retorica canina. I cani subiscono una situazione di questo tipo solo perché, essendo animali sociali, non trovano il coraggio di abbandonare l’unica società che gli è disgraziatamente toccata.
Ma allora, come si può fare ad impedirgli di fare il comodo suo? Semplicissimo: gli si insegna il comando NO.
Che non comporta punizioni alcun tipo, ma solo il condizionamento del cucciolo ad interrompere l’azione e a venire vicino a noi: in sostanza si distrae il cane!
Ovviamente bisogna variare tempi, modi e distrazioni, ma il concetto è sempre questo: il cucciolo deve abbinare il NO! al concetto di “smetti di fare quello che stai facendo e corri da me”. Fatto questo, il cane ha imparato le due cose fondamentali della vita: che sa fa quello che gli chiediamo ottiene dei vantaggi e che smette di fare quello che noi non vogliamo viene fermato (non “punito”). E se ignora il NO? Allora sì, viene “punito”. Nel senso che la punizione, per lui, DEVE essere la disapprovazione del leader-capo.
1 commento:
Esageratamente interessante l'articolo in questione, dovrebbero leggerlo tutti i possessori di cani e non, soprattutto i neofiti
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